Secondo uno studio dell’università di Edimburgo, ci sarebbero 42 variazioni genetiche: si tratta dello studio più ampio mai eseguito finora su questo disturbo del neurosviluppo
Uno studio dell’università di Edimburgo, nel Regno Unito, getta una nuova luce sulle cause delladislessia, disturbo del neurosviluppo che causa gravi difficoltà nella lettura e nella scrittura. Infatti, secondo i risultati pubblicati sulla rivista Nature Genetics, nel genoma umano vi sarebbero 42 varianti genetiche associabili alla dislessia, di cui 27 di nuova identificazione, mentre 15 precedentemente collegate a disturbi nell’ambito cognitivo. Coinvolgendo oltre un milione di persone, si tratta dello studiogeneticopiù ampio mai eseguito sulla dislessia, che potrebbe aprire la strada all’identificazione precoce delle persone predisposte a sviluppare questo disturbo.
Trovare le cause della dislessia
La dislessia è un disturbo del neurosviluppo caratterizzato da difficoltà nella lettura, normalmente diagnosticato in età scolare, che spesso ha ripercussionisul rendimento scolastico e in generale sulla vita dei bambini che ne sono colpiti e che può persistere anche nell’età adulta; essa si può manifestare anche con difficoltà nell’elaborazione delle parole o dei fonemi all’interno delle parole e si può presentare in concomitanza con altri disturbi, come il disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività (Adhd) e disturbi del linguaggio. Nella popolazione generale, il numero di persone con dislessia è stimato tra il 5 e il 17,5%, a seconda dei criteri diagnostici utilizzati; secondo i dati del ministero dell’Istruzione, aggiornati al 2019, in Italia sarebbero 187.963 gli alunni con dislessia, che rappresenta il disturbo dell’apprendimento più diagnosticato, contando circa il 39,6% dei casi.
Sebbene sia un piuttosto diffusa, non si conoscono le cause e i meccanismi di insorgenza della dislessia, sebbene alcuni studi suggeriscano che si tratti di un disturbo ereditabile per il 70% dei casi, anche se sono state trovate poche prove genetiche che confermassero questa ipotesi. Tuttavia, le ricerche precedenti a questo studio hanno analizzato solo un modesto numero di famiglie, al cui interno vi erano bambini e adolescenti con una diagnosi di dislessia. Eppure, l’identificazione deifattori di rischiogeneticiper la dislessia, condotta attraverso uno studio su larga scala, non solo può aiutare a comprendere meglio i meccanismi biologici di questo disturbo, ma può anche ampliare le possibilità di diagnosticarlo, facilitando l’identificazione precoce di individui predisposti, che riceveranno prima un supporto specifico.
Lo studio e i risultati
È per questo che i ricercatori dell’università di Edimburgo hanno condotto uno studio diassociazionegenome-widesu1,1 milioni di adulti, principalmente di origine europea, di cui 51.000 con dislessia. In questo tipo di studi, il cui scopo è identificare le varianti genomiche associate a un rischio per una malattia o per una condizione, si analizza e si confronta l’intero genoma di un’ampia coorte di persone malate e di persone sane, in modo da individuare eventuali discrepanze e quindi i geni che potrebbero essere associati alla condizione che si sta studiando.
Procedendo in questo modo, i ricercatori hanno identificato 42 varianti genetiche associate alla dislessia: più una persona mostrava queste varianti nel suo genoma, maggiore era la possibilità che avesse il disturbo. Circa un terzo delle variazioni individuate non erano una novità per i ricercatori, in quanto erano state collegate acondizionicome il disturbo da deficit di attenzione e iperattività, mentre altre associazioni erano inedite, coinvolgendo geni responsabili della soglia del dolore o dell’ambidestrismo.
“La dislessia è un tratto complesso e, come molti tratti complessi, è influenzato da molti geni, di cui ognuno singolarmente ha un effetto molto contenuto sulla predisposizione genetica, ma che può crescere, sommandosi ad altri” afferma a New Scientist Michelle Luciano, che ha coordinato lo studio.
Le varianti genetiche, infatti, potrebbero non causare dislessia di per sé, ma potrebbero renderla più probabile se combinate con determinati stili di apprendimento o altri fattoriambientali, ha ricordato la ricercatrice. Questi risultati, se confermati da ulteriori ricerche, un giorno potrebbero condurre allo sviluppo di un test genetico che identifichi i bambini predisposti alla dislessia e all’applicazione precoce di interventi in grado di ridurre le difficoltà nella lettura e scrittura.
Contenuti a cura della Dott.ssa Nellia Arciuolo, Laboratori Anastasis
Studenti con la “testa tra le nuvole”
A volte, sia a scuola che a casa, i genitori notano che i loro bambini con Disturbi Specifici dell’Apprendimento (dislessia, disortografia, discalculia e disgrafia) sono poco organizzati e “con la testa tra le nuvole”; che svolgono un compito soltanto superficialmente, non riuscendo a memorizzare i contenuti; che si distraggono facilmente, soprattutto quando non sono interessati all’argomento, e che impiegano molto tempo per completare i compiti da fare; che perdono delle informazioni importanti durante le lezioni in classe (compiti, verifiche o interrogazioni programmate).
Questo può mettere in difficoltà le mamme e i papà, preoccupati per la scarsa concentrazione dei loro figli e sfiancati per la fatica impiegata nello svolgimento dei compiti a casa; allo stesso modo, può diventare un problema anche per i bambini stessi, che si trovano ad affrontare un carico di studio e di attività scolastiche non proporzionato alle proprie risorse e, per questo, frustrante.
Approfondiamo come possiamo riconoscere e gestire le difficoltà di concentrazione in bambini e ragazzi con Disturbi dell’Apprendimento.
Prima di tutto… cos’è la concentrazione?
Cos’è la concentrazione e come si sviluppa nei bambini? La concentrazione è la capacità di controllare e mantenere l’attenzione in maniera prolungata durante lo svolgimento di un compito o di un’attività mentale, senza lasciarsi attirare dalle distrazioni. E’ quindi, insieme all’attenzione e alla memoria, una delle funzioni esecutive, ovvero quelle abilità cognitive tra loro interconnesse che servono ad adattare pensieri, emozioni e comportamenti in modo flessibile ed orientato in funzione di un obiettivo nell’ambiente esterno.
Come si sviluppa la concentrazione
Bisogna tenere a mente, nel parlare di concentrazione nei bambini e nei ragazzi, che le funzioni esecutive sono tra le ultime a concludere la loro maturazione neuro-biologica durante lo sviluppo. Infatti, una delle aree del cervello che maggiormente si evolve dalla fanciullezza all’età adulta è quella dei lobi frontali; sono proprio queste le strutture che controllano la pianificazione, l’auto-regolazione del comportamento e delle risorse cognitive, la focalizzazione dell’attenzione e la tolleranza della frustrazione. Di conseguenza, queste abilità, compresa la concentrazione, vengono conquistate gradualmente e con delle oscillazioni individuali del tutto tipiche. Ad esempio, indicativamente (!!) da un bambino di 6 anni ci si può aspettare che resti focalizzato su un compito per circa 15 minuti, mentre da un ragazzo di 14 anni che riesca a concentrarsi durante una spiegazione in classe di almeno 30 minuti, prendendo anche appunti sul proprio quaderno. In entrambi i casi, il motore principale è la concentrazione, insieme a molte altre abilità cognitive (come memoria, attenzione, pianificazione), ma ovviamente le possibilità e le risorse disponibili sono molto diverse a seconda dell’età.
Partendo da questi presupposti relativi a come si sviluppano di solito le funzioni esecutive, ci sono poi delle situazioni in cui le difficoltà di concentrazione rappresentano un limite significativo nella quotidianità e nel percorso scolastico. E’ questo il caso molto frequente dei bambini con Disturbi dell’Apprendimento.
Disturbi dell’Apprendimento e difficoltà nella concentrazione
…Perché così spesso insieme?
Nei bambini con Disturbi Specifici dell’Apprendimento, troviamo sempre una caduta della prestazione in alcune competenze scolastiche, come lettura, scrittura e/o calcolo, a fronte di abilità cognitive ed intellettive nella media, a volte anche superiori. E’ quindi proprio la discrepanza tra le risorse del bambino e la sua fatica in alcune aree circoscritte a confermare il suo Disturbo dell’Apprendimento. Molto spesso, però, bambini e ragazzi con DSA presentano anche delle difficoltà trasversali a carico delle funzioni esecutive, ad esempio nella concentrazione, nell’attenzione e nella memoria di lavoro.
A conferma di ciò, secondo alcune delle ipotesi neurobiologiche più accreditate nella comunità scientifica (Benso, 2004), sarebbero proprio i deficit delle funzioni esecutive a determinare a cascata la caduta nella lettura, nella scrittura e/o nel calcolo nei bambini con DSA, e non viceversa.
Il “peso” del carico cognitivo e degli aspetti emotivi
Bisogna inoltre tenere a mente che per i bambini con DSA alcune competenze scolastiche di base (ad esempio, la lettura) non sono automatizzate e richiedono pertanto un grande carico cognitivo; di conseguenza, ciò potrebbe interferire con la memoria a breve termine e con il mantenimento di questo “sforzo” attentivo per tempi prolungati (per chiunque, più il compito è impegnativo e minore è la capacità di concentrarsi a lungo di esso).
Allo stesso tempo, anche l’aspettomotivazionale ed emotivo ha un peso nelle funzioni esecutive: ansia, preoccupazioni e frustrazioni, spesso sperimentate dai bambini con Disturbi dell’Apprendimento relativamente allo studio e alla scuola, possono limitare la concentrazione e “distrarre” dall’attività che si sta svolgendo.
Qual è l’impatto nell’apprendimento?
Come si può immaginare, la scarsa concentrazione ha un impatto significativo per i bambini con Disturbi dell’Apprendimento, anche perché va a sommarsi alla fatica sperimentata nella lettura, nella scrittura e/o nel calcolo. Per loro, può diventare molto impegnativo seguire una lezione senza pause, studiare un capitolo di storia senza immagini e/o schemi oppure concentrarsi su un argomento, soprattutto se il canale di apprendimento utilizzato resta invariato nel corso dell’attività (ad esempio, solo testo scritto o spiegazione orale).
Di conseguenza, questo può incrementare la frustrazione nell’apprendimento, la bassa autostima e le preoccupazioni relative alla prestazione scolastica; tutti elementi che a loro volta, come già descritto sopra, interferiscono ulteriormente con la capacità di concentrarsi e con la motivazione allo studio in generale.
Gestire le difficoltà di concentrazione nei bambini con DSA
E’ importante ricordare che queste difficoltà, proprio per le ricadute che hanno a livello scolastico e non solo, possono (e devono!!) essere gestite dai genitori, dagli insegnanti e, se guidato e accompagnato, dal bambino stesso.
Ecco alcune indicazioni utili:
Affidarsi ad un professionista (neuropsichiatra infantile e/o psicologo) che possa approfondire con degli strumenti neuro-psicologici specifici il profilo delle funzioni esecutive del bambino, così da conoscere i suoi limiti e i suoi punti di forza, andando oltre la semplice diagnosi di DSA.
Valutare, su consiglio del professionista, se intraprendere un percorso di potenziamento delle abilità carenti (concentrazione, attenzione, memoria), affiancandolo o integrandolo al percorso di riabilitazione previsto per i bambini con Disturbi dell’Apprendimento.
Lavorare sia a casa che a scuola sul metodo di studio e sulle abilità meta-cognitive, per permettere al bambino di trovare e costruire le proprie strategie (organizzazione del pomeriggio di studio con pause annesse, costruzione di mappe, molteplicità di canali di apprendimento) per semplificare lo studio ed agevolare il raggiungimento degli obiettivi.
Utilizzare gli strumenti compensativi(ad esempio, computer, calcolatrice, mappe) per limitare il sovraccarico cognitivo e quindi l’esaurimento rapido delle risorse mentali a disposizione.
Coinvolgere il bambino in uno sport, come arrampicata, tennis o arti marziali, proprio per allenare la capacità di focalizzazione dell’attenzione, ma all’interno di un contesto ludico, stimolante e gratificante.
Non colpevolizzare il bambino per la sua poca concentrazione! E’ necessario riconoscere che questa difficoltà fa parte del suo Disturbo dell’Apprendimento e quindi non sempre è legata alla sua svogliatezza o scarsa motivazione.
Farsi carico di queste difficoltà nella concentrazione, oltre a quelle solitamente riconosciute nei bambini con DSA, è fondamentale proprio per garantire il successo formativo di tutti gli alunni e soprattutto per fare in modo che l’esperienza della scuola e dell’apprendimento sia gratificante e costruttiva.
di ANNA RITA LONGO, DOCENTE DI LETTERE E DIVULGATRICE SCIENTIFICA
«Ma davvero per domani devi imparare a memoria questa poesia?». Marcello frequenta la scuola primaria e i suoi genitori sono rimasti un po’ spiazzati dal compito che gli è stato assegnato dall’insegnante d’italiano. Pensavano, infatti, che le poesie mandate a memoria fossero un retaggio della scuola di altri tempi, quando lo spazio lasciato alla creatività dei bambini era poco o nullo e l’autoritarismo era diffuso e accettato. In particolar modo, da genitori scrupolosi nel seguire il percorso formativo del bambino, pur con la dovuta fiducia nell’insegnante, si chiedono quali siano le ragioni di proporre un esercizio che sembra puramente meccanico. A cosa serve sforzarsi di riprodurre con esattezza delle parole, come piccoli registratori? Che cosa ci sarebbe di formativo?
UNA SEMPLIFICAZIONE IMPROPRIA
In realtà, impostare il discorso in modo manicheo –da una parte gli esercizi intelligenti e “attivi” e dall’altra una ripetizione “a pappagallo”– non è la maniera più opportuna per guardare al problema da tutti i punti di vista. L’educazione è fatta di tanti stimoli differenti, che sollecitano abilità e componenti diverse; la psicologia dell’apprendimento e le neuroscienze hanno contribuito nel tempo a mettere queste ultime in luce. Tra coloro che più si sono occupati del tema c’è il neuroscienziato e matematico francese Stanislas Dehaene, docente presso il Collège de France, il quale, sulla base degli studi condotti con le più recenti tecniche di neuroimmagine, ha cercato di individuare i pilastri di un insegnamento che si basi sulle conoscenze in merito al funzionamento del cervello. Lo scienziato sintetizza i suoi risultati in tredici massime destinate a insegnanti e educatori. Fra i punti cardine c’è senza dubbio l’apprendimento attivo: sollecitare la curiosità di bambini e bambine, la loro autonomia e il loro desiderio di scoperta (pur senza pretendere, con ingenuità, che possano imparare tutto da soli) è importantissimo. Il rilievo dato dai genitori del piccolo Marcello a questo genere di esercizi è, quindi, senza dubbio condivisibile.
PERCHÉ SERVE FARE FATICA
Dehaene pone l’accento anche sul ruolo dell’approfondimento per una comprensione e rielaborazione profonda (un punto che sembra in contrasto con un’attività come la memorizzazione di concetti); il lavoro dovrebbe sempre comportare un certo sforzo, perché l’impegno contribuisce a imprimere tracce più durature nella memoria. Quest’ultimo aspetto appare già un primo collegamento significativo con la questione da cui siamo partiti. La paura che la fatica si traduca automaticamente in scarso piacere nello studio, e in conseguente demotivazione, è una delle ragioni per le quali ci si trattiene dal proporre attività che implicano sforzi di memorizzazione, ma, come si vede, il gioco vale spesso la candela. Sempre dalle neuroscienze viene la raccomandazione di promuovere attività che stimolino l’attenzione e la concentrazione, e si sottolinea l’importanza del ripasso, che favorisce il consolida6mento delle nozioni. Nel corso dell’attività didattica c’è posto per tante sollecitazioni di diverso tipo, senza che la presenza di una dimensione comporti l’esclusione automatica di un’altra.
UN PREGIUDIZIO DOVUTO ALL’ESAGERAZIONE
È di questo avviso anche Cesare Cornoldi, professore emerito di Psicologia dell’apprendimento e della memoria all’Università di Padova ed esperto molto noto a livello internazionale. Tutto, a suo avviso, parte da un pregiudizio consolidatosi negli anni passati per via di un uso improprio ed estensivo della memorizzazione nelle scuole. «La reazione infastidita nei confronti della memorizzazione meccanica – ci ha detto – da parte di uomini di cultura (si pensi a Erasmo da Rotterdam, che si oppose all’uso eccessivo di tecniche artificiose di memoria) o di psicologi dell’apprendimento (ad esempio David Ausubel, che criticava l’apprendimento meccanico) nasce da un ricorso esagerato a questa prassi didattica, tipico soprattutto del passato. C’è il giusto timore che chi apprende in questo modo non elabori il contenuto in maniera significativa e profonda e, inoltre, sviluppi noia e rifiuto nei riguardi delle attività didattiche». Criticare gli eccessi, però, non comporta automaticamente un rifiuto totale del[1]la memorizzazione.
I VANTAGGI DELLA MEMORIZZAZIONE
Continua Cornoldi: «In certe occasioni la memorizzazione parola per parola può avere una sua rilevanza. Possiamo citare tre ragioni principali. La prima è che non sempre la cosa dispiace a bambini e ragazzi, come emerge dal gusto che hanno per la memorizzazione dei testi di poesie e canzoni e dalla risposta affettiva positiva che si associa anche nell’adulto a testi imparati da bambino. La seconda è che uno sforzo esplicito a memorizzare correttamente del materiale induce a sviluppare strategie che poi potranno essere utili anche in altri contesti. La terza ragione è che certi contenuti di conoscenza devono essere acquisiti letteralmente e in modo automatizzato, mettendo in gioco un sistema di conoscenze evidenziato dalle neuroscienze e chiamato “sistema di memoria procedurale”, senza il quale la mente non può funzionare con la fluidità necessaria». Si tratta di quel sistema che costituisce una sorta di memoria implicita che ci viene in aiuto quando dobbiamo svolgere una performance, e che è sostenuto da una serie di automatismi interiorizzati. Al contrario di quanto solitamente si pensa, la memoria procedurale non riguarda soltanto l’esecuzione di azioni concrete: anche la risoluzione di problemi richiede, infatti, che si debba ripescare dalla memoria una sequenza di procedure che si è fatta propria. Se si fa attenzione a evitare gli eccessi e a sollecitare in modo equilibrato i diversi aspetti che compongono il complesso mosaico dell’apprendimento, quindi, non ha senso evitare sistematicamente di proporre a bambine e bambini un esercizio che ha una sua utilità, perché contribuisce a sviluppare capacità che si riveleranno utili anche in futuro.
In occasione della settimana europea della Dislessia (dal 4 al 10 ottobre 2021), Radio Fm1 ha voluto avvicinarsi al tema dei DSA e, con il contributo di alcuni professionisti che si occupano della materia, ha cercato di comprendere cosa siano i Disturbi Specifici dell’Apprendimento, come si manifestano, in che misura sono presenti nella popolazione scolastica, qual è la condizione emotiva del bambino con DSA e della sua famiglia.
Ospiti di Paolo Paoletti tre professioniste che operano nel Centro L’angolotondo, di Campiglione di Fermo, un Centro diagnostico-riabilitativo per Disturbi Specifici dell’Apprendimento, accreditato dalla Regione Marche. La Dott.ssa Valentina Giostra, pedagogista clinica, specializzata nel trattamento riabilitativo dei DSA , titolare del Centro, e le dottoresse Rebecca Senesi, logopedista, esperta di età evolutiva e Ilenia Salvatori, pedagogista, tutor DSA, ci aiutano a capire cosa sarebbe bene fare in presenza di un sospetto DSA, come si può intervenire per favorire il diritto allo studio e il raggiungimento del successo scolastico a chi presenta un DSA, a chi occorre rivolgersi.
FERMO – Intervista a Valentina Giostra, pedagogista-clinico e titolare di “L’angolotondo”, un Centro diagnostico-riabilitativo per Disturbi Specifici dell’Apprendimento
di Andrea Braconi
Dieci anni fa, esattamente l’8 ottobre 2010, venne emanata la legge 170 che introdusse le cosiddette “Nuove norme in materia di disturbo specifico di apprendimento in ambito scolastico” .
“Si tratta di una legge innovativa ed etica, ancora oggi imprescindibile punto di riferimento per chi, a diverso titolo, si confronta con i Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA)” è il commento di Valentina Giostra, pedagogista-clinico e titolare de’ L’angolotondo’, un centro diagnostico-riabilitativo per Disturbi Specifici dell’Apprendimento con sede a Fermo .
Una legge, la 170, che, dopo aver riconosciuto e definito i diversi disturbi specifici di apprendimento, ha voluto tutelare il diritto all’istruzione degli alunni e degli studenti che ne sono portatori e favorire la buona riuscita del loro percorso scolastico. “A questo scopo, ha, tra le altre cose, chiamato gli insegnanti a svolgere un ruolo attivo nella ‘identificazione precoce’ del disturbo, a partire dalla scuola dell’infanzia; ha promosso un collegamento funzionale tra la scuola, la famiglia ei servizi sanitari; ha disposto l’uso di una didattica individualizzata e personalizzata, forme efficaci e flessibili di lavoro scolastico, misure educative e didattiche di supporto. Molto probabilmente, vanno ricondotte soprattutto a questo cambio di marcia normativo e, insieme, culturale le risultanze di una valutazione statistica diffusa dal MIUR, secondo la quale, proprio negli ultimi anni, il numero di alunni con DSA sul totale dei frequentanti è costantemente cresciuto ed è passato dallo 0,7% del 2010/2011 al 3,2% del 2017/2018. E non dovrebbero ancora essere percentuali definitive, visto che le diagnosi, pur se aumentate nettamente dopo la Legge 170/2010, ancora non coprono il 100% della popolazione scolastica totale. Non sono, dunque, aumentati i casi, ma soltanto la capacità e la sensibilità nell’individuarli”.
Cosa si intende per DSA dal punto di vista clinico?
“I DSA sono disturbano che interessano una o più delle abilità specifiche, necessarie per apprendere: l’abilità di lettura, di scrittura e di calcolo. Parleremo allora di Dislessia in presenza di difficoltà di lettura, di Disgrafia e Disortografia per indicare difficoltà di scrittura, di Discalculia, per riferirci alla difficoltà di calcolo. Questi disturbi, si manifestano in presenza di capacità cognitive adeguate, in assenza di patologie neurologiche e di deficit sensoriali. Non sono conseguenti a traumi, blocchi educativi, psicologici, relazionali, a mancanza di opportunità di apprendimento, a disturbi dello sviluppo intellettivo oa malattie cerebrali acquisite. Secondo gli studi attualmente più accreditati, si tratterebbe di un disturbo di origine neurobiologica che si manifesta in età evolutiva, quando emerge la difficoltà del bambino a sviluppare una capacità che per gli altri invece diventa progressivamente un automatismo. Quando parliamo di DSA, parliamo di sviluppo neurologico atipico o di neurodiversità, di caratteristiche individuali e non di patologia. Una persona con DSA, pur avendo capacità intellettive adeguate per la sua età, spesso anche superiori, apprende con maggiori difficoltà ea ritmo più lento dei suoi coetanei a causa di stili di apprendimento non comuni e di altre caratteristiche cognitive specifiche, che è invece importante riconoscere per predisporre una didattica personalizzata ed efficace. Tra l’altro, le metodologie didattiche adatte per i bambini con DSA sono valide per ogni bambino, e non viceversa. Vale la pena ricordare che si tratta di un disturbo ‘modificabile attraverso interventi mirati’, un disturbo che, se abbastanza trattato, può essere controbilanciato, anche se non eliminato. Una diagnosi tempestiva e un intervento immediato, possono non solo migliorare la prognosi, ma anche prevenire e contenere quelle che sono in generale ripercussioni negative: frustrazione costante, scarsa autostima, disturbo dell’umore, disturbo della condotta, disturbo dell’attenzione e iperattività, scarsa motivazione, insuccesso e abbandono scolastico.
Quali sono gli indicatori per ipotizzare che il bambino è un potenziale DSA?
“Anche se la diagnosi di DSA può essere formulata con certezza solo alla fine della seconda classe della scuola primaria, è importante – grazie ad una attenta osservazione da parte degli insegnanti e dei genitori – intercettare precocemente le possibili difficoltà di apprendimento e riconoscere segnali predittivi già nella scuola dell’infanzia. Nella fase prescolastica, andrebbe attenzionato il bambino che confonde suoni, non completa le frasi, utilizza parole non adeguate al contesto o le sostituisce, omette fonemi o parti di parole, sostituisce suoni, lettere (p/b…) e ha un’espressione linguistica inadeguata. Un bambino che evidenzia queste caratteristiche, può essere impacciato, avere poca abilità nella manualità fine, non saper riconoscere la destra e la sinistra o avere difficoltà in compiti di memoria a breve termine, ad imparare filastrocche, a giocare con le parole. Successivamente, nella scuola primaria, per ipotizzare la presenza di DSA, dovremmo trovarci in presenza di un bambino che fa ancora confusione tra destra e sinistra, che manifesta difficoltà nel memorizzare di sequenze di giorni della settimana, mesi, stagioni, alfabeto; che fa confusione tra le lettere graficamente simili (b,d/q,p,); che perde facilmente il segno quando si legge; che scrive legando le parole o al contrario staccandole tra loro in modo errato; che compie numerosi errori ortografici; che fa una eccessiva fatica nel calcolo rapido e nelle tabelline, come pure nell’esecuzione di calcoli in colonna, nonostante l’abilità di ragionamento logico sia adeguata. Nella scuola secondaria di primo grado, in genere si realizza un certo miglioramento della rapidità e della correttezza della lettura, ma si assiste di solito ad un peggioramento dell’andamento scolastico legato ad aumento della discrepanza fra richieste e prestazioni. Per gli insegnanti della scuola primaria infatti nella lettura la decodifica è di importanza prioritaria, per gli insegnanti della secondaria è invece fondamentale la comprensione del testo, perché solo attraverso essa si realizza lo studio. L’aumento progressivo del carico di lavoro e della complessità dei testi da leggere complica notevolmente l’iter scolastico fino a rendere a volte impossibile se non vengono utilizzati nella didattica e nello studio strumenti ie misure che, senza sminuire i contenuti, semplifichino l’accesso al testo, riducono il carico di lavoro e consentono i tempi di applicazione necessari. Occorre tener presente tuttavia, che nessun indicatore di rischio isolato è in grado di consentire una previsione certa della futura comparsa di un DSA. La diagnosi di Disturbo Specifico dell’Apprendimento spetta infatti ad una équipe specificatamente designata, a cui il bambino dovrebbe essere inviato da parte della scuola, dopo averlo concordato con la famiglia.
Chi può rilasciare la diagnosi e la certificazione di DSA?
“Per ‘diagnosi’ si intende un giudizio clinico, attestante la presenza di una patologia o di un disturbo. Per ‘certificazione’ si intende un documento, con valore legale, che attesta il diritto dell’interessato di avvalersi delle misure e dei diritti previsti dalla Legge 170/2010. Solo le strutture sanitarie pubbliche (UMEE) ei soggetti privati accreditati – come ‘L’angolotondo’ – sono autorizzati a rilasciare la diagnosi e la certificazione di DSA, secondo le procedure disciplinate dalla stessa Legge 170/2010 e dalla normativa di riferimento.”
Quali attività svolge il Centro?
“Il centro ‘L’angolotondo’ è una struttura sanitaria ad alta specializzazione in neuro-psico-pedagogia dello sviluppo, rivolto prevalentemente a soggetti in età evolutiva e alle loro famiglie, autorizzata ed accreditata dalla Regione Marche per svolgere attività di diagnosi e di certificazione dei Disturbi Specifici dell’apprendimento.
Effettua:
– attività di valutazione, di diagnosi e di riabilitazione dei disturbi specifici dell’apprendimento e – attività di accertamento e di trattamento delle condizioni che possono determinare bisogni educativi speciali in ambito scolastico (dislessia, disortografia, disgrafia, discalculia, deficit/disturbi del linguaggio, disturbi cognitivi, deficit/disturbi delle abilità non verbali, deficit/disturbi della coordinazione motoria, ADHD–deficit di attenzione e iperattività, difficoltà di memoria), con rilascio – laddove previsto – della certificazione ai sensi e per gli effetti della legge 170/2010 ;
– interventi specialistici per il contrasto e per il trattamento del disagio psicocomportamentale giovanile e dei disturbi psicopatologici nell’infanzia e nell’adolescenza (svantaggio sociale, culturale e linguistico; disabilità intellettive; disturbi comportamentali; disturbi emozionali, d’ansia e depressivi);
– interventi per il sostegno della funzione educativa e delle modalità relazionali degli adulti.
I servizi vengono erogati secondo il modello di presa in carico globale della persona e della sua famiglia, che prevede l’intervento specialistico integrato di un’equipe multidisciplinare composta da: pediatra, responsabile sanitario, neuropsichiatra infantile, psichiatra (per persone adulte, 3 psicologi psicoterapeuti, 2 logopedisti, neuropsicomotricista, pedagogista, pedagogista clinico).”
E quali prestazioni ambulatoriali offre?
“Valutazioni cliniche specialistiche (neuropsichiatrica, psichiatrica, pediatrica, psicologica, pedagogico-clinica, logopedia, neuropsicomotoria); indagini psicodiagnostiche; farmacoterapia; consulenze neuropsichiatrica, psichiatrica, pediatrica, psicologica, pedagogico-clinica, logopedica, neuro psicomotoria. E poi diversi trattamenti: psicoterapeutico individuale; psicoterapeutico di coppia e/o familiare; psicopedagogico di sostegno alla genitorialità; pedagogico-clinico (psicoeducativo); logopedico individuale o di gruppo; interventi abilitativi/riabilitativi con potenziamento cognitivo (es. Metodo Feuerstein); potenziamento delle funzioni esecutive (es. Metodo Pasat); potenziamento neuropsicologico per difficoltà di comprensione, di attenzione o di memoria. Gli interventi, predisposti e valutati in équipe,
Ci sono poi i servizi di supporto.
“Abbiamo doposcuola specialistico individuale e di gruppo anche con l’ausilio di strumenti compensativi (PC, software specifici, mappe concettuali), finalizzato al raggiungimento dell’autonomia nello studio e nello svolgimento dei compiti; reading trainer (trattamento a distanza della dislessia e di altri disturbi dell’apprendimento); servizio di screening; consulenza per insegnanti e per genitori; prescrizioni di piani didattici personalizzati e di piani educativi individualizzati; doposcuola per bambini della scuola primaria. Infine, ricordo come ogni anno, per tutto il mese di ottobre, il Centro offre gratuitamente consulenze a insegnanti e a genitori, su appuntamento.
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